Nicolò Cipriani di Empoli, secondo anno nell’Organico a disposizione di Gianluca Rocchi, è stato ospite della Sezione di Roma 2. Sorteggiato ad inizio Stagione, era particolarmente contento di poter svolgere una Riunione Tecnica davanti ad una platea piena di giovani e soprattutto davanti a due suoi colleghi di ruolo, gli assistenti a disposizione della Commissione Arbitri Nazionale Serie A e B Alessandro Giallatini e Valerio Colarossi. Con loro completavano la prima fila il Componente CAN D Daniele Martinelli e diversi assistenti a disposizione della CAN C.
Per Nicolò l’arbitraggio è la passione più grande, una seconda pelle impossibile da togliersi, ne è dimostrazione il fatto che appena può aiuta la sua Sezione nelle gare di Settore Giovanile o di Terza Categoria, categorie e campi che per lui sono stati importanti per continuare il sogno e che tuttora danno l’essenza del gioco del calcio. Essere Arbitri si può racchiudere in 10 punti cardine:
1. Follia. “Quante volte ci siamo sentiti dire, ma chi te lo fa fare? Ecco, io ho sempre risposto con un sorriso, perché ero consapevole di essere un folle”. Del resto, senza un pizzico di follia non ci si mette a rischio in maniera così elevata.
2. Studio. “Studiare il Regolamento è fondamentale, ormai si è arbitri anche sulla fascia, perché bisogna conoscere ogni aspetto e le sue conseguenze tecniche e disciplinari”. Cipriani ricorda con un pizzico di timore un episodio che gli è capitato da giovane da arbitro in Regione: “Durante i tiri di rigore per una gara di Coppa, il portiere respinse il tiro dell’attaccante ma il pallone prese una traiettoria a palombella e finì la sua corsa in rete, ecco lì mi si fermò il cuore, ma diedi goal e presi la decisione giusta”. Non bisogna farsi trovare mai impreparati, ma pronti ad ogni casistica.
3. Sezione. “Frequentarla aiuta a crescere, frequentarla significa vivere di calcio e ovviamente di arbitraggio”. Per lui è stata una seconda casa, le ore passate ad imparare da chi fosse più grande ed esperto di lui, come Riccardo Pinzani – già arbitro CAN – oppure il collega ora di fascia Dario Ceccon.
4. Famiglia. “Senza il sostegno a casa forse qui in alto non ci si arriva, è il porto sicuro quando qualcosa va male e quando qualcosa va bene”. Da poco papà di una bimba, sa bene che ci si toglie molto al ruolo di genitore, ma “non potete immaginare l’emozione di tornare a casa e vedere tutti felici quando si rientra la sera dopo una gara, non ha eguali”.
5 Sudore. “Senza allenamento la CAN non l’avrei potuto viverla”. A testimonianza ricorda ben due episodi. “Ero in viaggio di nozze a Bora Bora e mi stavo allenando facendo uno Yo-Yo usando noci di cocco come conetti, ripensandoci oggi credo che mia moglie o mi lasciava subito o doveva essere davvero una santa”. L’altro episodio è associato agli allenamenti al polo nazionale, dove magari ragazzi più giovani sono lo stimolo per non farsi lasciare dietro e dare tutto fino all’ultimo centimetro o all’ultimo secondo dell’ultimo minuto di recupero.
6 Sacrificio. “Ho atteso due anni per fare il Corso di Selezione per assistenti e passare in CAN, mi sono allenato per mesi nel garage di casa facendo navette e preparandomi al test. Senza questo sacrificio nelle pause pranzo o la sera tardi, non avrei mai passato l’esame e non sarei mai stato qui come relatore davanti a voi”.
7. Fortuna. “Un fattore che deve esserci. Passare il corso al secondo tentativo ne è la prova, in quanto al primo tentativo mi ritrovai fuori per pochi centesimi. Bastava poco, ma bisogna pure sapersela conquistare e portartela dalla tua parte”.
8. Emozione. “La prima volta a Reggio Emilia in A per Sassuolo-Spezia non la potrò scordare. Mi arriva la telefonata di Manuel Volpi che mi dice: “Ti porto a Reggio, ti faccio esordire”. Tremavo, ero bloccato, non volevo crederci e lì ho rivissuto tutta la carriera. Poi farlo con un amico con il quale ho fatto raduni in Regione, al Nazionale da arbitro, ora in CAN, è stato sicuramente un vantaggio”. Ma fra le tante emozioni c’erano le prime volte con il borsone nei campi periferici, quelli di terra di una volta, con mio padre che mi accompagnava, ce ne sono tante di emozioni.
9. Umiltà. “Essere umili è fondamentale per essere umano fra gli umani. Noi della CAN non siamo diversi da voi che ogni domenica fate gare di Promozione o di Seconda Categoria, siamo identici perché portiamo la stessa divisa, con lo stesso logo e la stessa passione. Non siate mai superbi, abbiate umiltà di ascoltare gli organi tecnici o gli osservatori sui consigli che vi danno”.
10. Consapevolezza. “Essere in CAN è una responsabilità, per la famiglia, per la Sezione, per chi ha creduto in me. Ma senza la consapevolezza che potevo esserci anche io in quell’organico, beh staremo parlando sicuramente di altro adesso”.
Contento della serata anche il Presidente sezionale Domenico Trombetta che ha spronato i ragazzi a prendere da esempio i racconti di Nicolò sulla perseveranza e sulla tenacia di voler arrivare in alto. A lui come omaggio un borsone con il logo sezionale, “magari da portare al prossimo viaggio così tua moglie ne sarà felice”, scherzano Giallatini e Colarossi.
Giorgio Ermanno Minafra (fonte aia-figc.it)